D-Heart è il primo elettrocardiografo per smartphone che riunisce quattro caratteristiche che lo rendono unico: semplice da usare, affidabile per il medico, portatile (pesa meno di uno smartphone) ed economico. Permette a chiunque di eseguire un ECG affidabile come quello ospedaliero in totale autonomia, e di inviarne i risultati al servizio di tele-cardiologia 24/7 o al proprio medico di fiducia, per avere un responso immediato e professionale sullo stato di salute del proprio cuore.
D-Heart è anche il nome di una start-up biomedicale nata nel 2015 da un’esperienza personale e da un bisogno ai tempi “insoddisfatto” che sta rivoluzionando il modo di intendere l’impiego delle app in cardiologia. Ha infatti vinto, ad oggi, ben nove premi in vari campi, dai riconoscimenti sull’innovazione nell’assistenza sanitaria a competizioni per start-up. Vende il dispositivo in oltre 22 Paesi nel mondo, con l’ambizione di utilizzare la tecnologia ampliandola ad altre misurazioni come la glicemia o la pressione arteriosa. In pratica, si propone di diventare leader nella sanità homecare: così il “medico” diventa a portata di mano o, meglio, di app.
L’idea è venuta a due ragazzi under 30, Niccolò Maurizi e Nicolò Briante, con background di studi diversi ma complementari e accomunati da una grande caparbietà. Nicolò Briante è Laureato in Giurisprudenza, con esperienza internazionale di ricerca in Business Law alla Cambridge University e UCL. Ha una passione per le start-up, acquisita durante un periodo passato a San Francisco in qualità di studente della Mind the Bridge StartUp School.
Niccolò Maurizi, che ho avuto il piacere di intervistare, è cardiologo presso l’ospedale di Lausanna e cofondatore di D-Heart. Anche lui con esperienza internazionale, ha lavorato con diversi gruppi al Johns Hopkins Hospital di Baltimora, al St. Georges a Londra, al Leuven in Belgio, presso la Fondazione Maugeri a Pavia e al Lucknow in India.
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Cos’è D-Heart e qual è l’idea alla base del progetto?
D-Heart nasce dal connubio di un percorso personale e professionale molto bello ed è un cardiografo, un dispositivo, che registra l’attività del cuore sulla pelle e lo trasmette allo smartphone.
L’idea è nata grazie all’incontro tra me e il mio socio Nicolò Briante al Collegio Borromeo di Pavia, un’istituzione con più di 650 anni di storia, che da sempre raccoglie studenti “meritevoli” di tutte le facoltà. È legata al mio vissuto (in seguito a un infarto all’età di sedici anni) e a quello che vedo tutti i giorni come cardiologo, e alla sua genialità imprenditoriale che ha trasformato l’idea in una piccola azienda che comunque vende oggi il dispositivo in oltre 22 Paesi nel mondo.
In pratica sembra di avere un cardiologo a un click di distanza che “vigila” sul tuo stato di salute. Questo è un aspetto che può sembrare banale; invece è molto importante per alcune categorie di persone che soffrono di malattie cardiache o sono a rischio, e anche per i medici di medicina generale (MMG) e i farmacisti.
Come funziona D-Heart?
Quali sono i fattori esclusivi che hanno reso la vostra idea vincitrice di nove premi, dai riconoscimenti sull’innovazione nell’assistenza sanitaria a competizioni per Start-up?
D- Heart è un dispositivo medico che registra l’attività elettrica del cuore in diversi punti (derivazioni). La sua affidabilità è come quella di un cardiografo ospedaliero ed è forse questo che l’ha reso diverso rispetto agli altri dispositivi wearable già presenti.
L’affidabilità e le informazioni che un medico può dedurre da un dispositivo come D-Heart realizzato da un paziente, da un MMG, da un farmacista, sono le stesse di un ECG realizzato da un’infermiera al pronto soccorso o in un reparto di cardiologia.
Questo ci ha portato ad avere diversi riconoscimenti che sono una necessità per avere credibilità. In Italia creare un’azienda biomedicale all’età di 26-27 anni è un’impresa, non la consiglierei a nessuno perché la credibilità che il nostro sistema dà ai giovani è molto bassa: le buone idee vengono solo a chi ha esperienza, e chi ha esperienza non è giovane. Questo è il credo principale.
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Quanto è utile oggi la digitalizzazione in ambito healthcare?
L’80-90 per cento delle attività che facciamo in ospedale è digitalizzato. Come medici passiamo il 60-70% del nostro tempo al computer e il 30 per cento con il paziente. Quello che manca è la digitalizzazione del territorio ovvero come seguo il paziente cronicamente, che è poca o inesistente. Un esempio che abbiamo vissuto sulla nostra pelle durante il periodo COVID, soprattutto nella prima fase della pandemia: monitorare l’effetto di alcuni farmaci con l’ECG era assai importante.
Abbiamo prodotto dati interessanti che abbiamo pubblicato su riviste importanti, e quando con questi risultati ci siamo rivolti alle ASL abbiamo trovato una barriera. Non perché non ci fosse l’interesse per D-Heart, ma perché le ASL parlano una lingua informatica tra loro diversa: o ci si adatta al sistema o non c’è modo di integrarsi.
Quali canali digitali utilizzate per promuovere il dispositivo D-Heart?
D-Heart utilizza principalmente canali legati ai social network, in primo luogo Facebook perché permette di arrivare ad utenti potenzialmente interessati a quel determinato tipo di servizio. Abbiamo quindi targettizzato audience quali MMG, farmacisti e anche pazienti con malattie cardiache.
Un altro canale molto interessante per noi è Amazon, perché offre la possibilità di fare una cernita chiara sul prodotto e di lasciare una revisione imparziale da parte degli utenti. Inoltre, consente di arrivare a tanti tipi di persone che cercano il prodotto in modo diverso (pubblicità targettizzata).
Poi, sicuramente, c’è tutta una serie di attività di marketing scientifico che facciamo attivamente.
Che caratteristiche servono per diventare innovatori di successo under 30?
Sicuramente la caratteristica che contraddistingue me e il mio socio è il non mollare mai, la caparbietà. È pieno di persone molto intelligenti e con idee molto brillanti che non hanno la grinta di trasformarle in prodotti. Ci sono tante persone ben preparate, con tutte le carte in regola, che per una serie di motivi non riescono a portarle avanti.
Quando ci venne chiusa la porta in faccia, tante ma tante volte, quello che ci ha fatto andare avanti è la resilienza, la caparbietà.
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Quali sono i vostri progetti e obiettivi futuri?
Sono di due tipi. Il primo è rinforzare la tecnologia attuale di D-Heart con algoritmi di intelligenza artificiale (IA) per l’interpretazione di ECG rivolto alla diagnosi di malattie rare del cuore. L’IA è un qualcosa di molto promettente: se le si “fa” una domanda precisa e specifica può aiutare il medico ad accendere quella lampadina che avvia un percorso diagnostico e terapeutico specifico.
Il secondo è quello di diventare un “hub” con la nostra app, convogliando tanti dispositivi tra loro diversi che promuovono la salute della persona: noi misuriamo il cuore ma perché non misurare la glicemia, la pressione arteriosa, la percentuale di gas nel corpo, quanta acqua c’è in eccesso o meno nel nostro corpo? L’obiettivo finale è quello di avere una piccola “valigetta” che possa essere il nostro medico a portata di mano.
D-Heart è il primo elettrocardiografo per smartphone, semplice da usare e affidabile come quello ospedaliero che per la sua unicità è stato il vincitore ad oggi di nove premi in vari campi, e viene venduto in oltre 22 Paesi nel mondo.
Dietro questo progetto che sta rivoluzionando il modo di intendere l’impiego delle app in cardiologia ci sono due ragazzi under 30, con un background diverso ma complementare. Si propongono di diventare leader nella sanità homecare, ampliando la tecnologia ad altre misurazioni come la glicemia o la pressione arteriosa. Con la caparbietà che li ha portati all’attuale successo, c’è da scommettere che hanno tutte le carte in regola per assicurarsi ulteriori successi e riconoscimenti in un prossimo futuro.
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