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Native Advertising: la pubblicità che non sembra

Hai mai sentito parlare del Native Advertising? Si tratta di una forma di pubblicità online che sta progressivamente prendendo piede e che consente di non disturbare l’esperienza dell’utente mentre naviga in un sito di suo interesse. In questa mini guida ti spiego:

  • che cos’è e come si sta evolvendo la pubblicità nativa
  • perché è innovativa
  • perché piace ai marketer e non interrompe gli utenti
  • come fare una campagna efficace 
  • come è regolamentata

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Native Advertising: la pubblicità che non sembra

Native Advertising esempio di mimetizzazioneCome ti ho accennato poco fa, il Native Advertising, o Pubblicità Nativa, è una forma di pubblicità tipica del web che prende le sembianze dei contenuti del sito su cui è ospitata per creare interesse. Si può dire che è un metodo pubblicitario che mimetizza i contenuti e gli annunci pubblicitari all’interno del contesto editoriale in cui vengono inseriti. Questo avviene sia dal punto di vista grafico che che per quanto riguarda i contenuti.

Diventa fondamentale, anche nel caso della pubblicità, sviluppare dei buoni contenuti che siano pertinenti con il sito su cui vengono inseriti. Solo così il grado di fusione dei due elementi sarà quello vincente.

Vuoi un esempio? È pubblicità nativa l’inserimento di una pubblicità di scarpe da calcio in un articolo che parla di una partita oppure di un calciatore.

 

 

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Le definizioni degli esperti

Mitch Joel, esperto di marketing, nel 2013 ha dato del Native Advertising una definizione secondo cui si intende un formato pubblicitario creato specificatamente per un certo media, sia dal punto di vista del formato tecnico, sia dal punto di vista del contenuto (la creatività). Qual è l’obiettivo? È abbastanza intuitivo: il Native Advertising rende l’annuncio pubblicitario meno intrusivo, in modo da non interrompere il contenuto sui cui l’utente ha posto la sua attenzione. In questo modo è possibile aumentare la percentuale di click e di interazioni sull’annuncio.

Nel 2015 Campbell e Marks lo hanno definito come una forma pubblicitaria online desiderata dai consumatori che è integrata nel flusso organico dei contenuti. È una forma unica di pubblicità online in cui il consumatore dà all’inserzionista il permesso di comunicare con lui e il formato pubblicitario minimizza il disturbo dell’esperienza dell’utente in cui si inserisce.
Da questa seconda definizione emerge un aspetto molto importante, la valorizzazione della user experience, che ha un doppio scopo: da una parte ottimizzare la probabilità che il contenuto pubblicitario venga visualizzato e dall’altra di rendere tale contenuto più rilevante.

 

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Come nasce il Native Advertising

Possiamo dire che la nascita della Pubblicità Nativa è una diretta conseguenza del fenomeno ormai molto diffuso del banner blindness, cioè la cecità da banner. Mi spiego meglio. Chiunque di noi, utilizzatori quotidiani di internet, ha sviluppato una buona capacità di individuare gli spazi pubblicitari che sono contenuti nelle pagine web che visitiamo. Questa capacità che abbiamo acquisito ci ha fatto diventare in buona parte indifferenti nei confronti della pubblicità, che quindi diventa inefficace.
Sembra che la banner blindness sia in continua espansione e per questo gli inserzionisti cerchino costantemente nuove forme di advertising che siano in grado di stimolare davvero l’interesse del target cui si rivolgono.
Grazie al Native Advertising invece si riesce ad aggirare l’ostacolo della scarsa attrattività dei banner perché il contenuto sponsorizzato è immerso nel contenuto editoriale

 

Native Advertising un esempio

Un esempio di Native Advertising

 

Come si è evoluto il Native Advertising

Un passo importante risale al 2008, quando il gruppo editoriale leader in Europa Gruner  + Jahr fa un investimento significativo in questo settore e acquisisce Ligatus, che possiamo definire i pionieri del native adv.

Negli Stati Uniti ci sono varie piattaforme che gestiscono la pubblicità nativa per siti diversi, ad esempio Nativo e Sharethrough, il cui CEO Dan Greenberg è stato uno dei primi ad utilizzare il termine di Native Advertising indicandolo come un tipo di media integrato nel design e dove gli annunci pubblicitari sono parte del contenuto.
Sempre negli Stati Uniti, ci sono anche piattaforme proprietarie come, ad esempio, WP BrandConnect del Washington Post e Forbes’ Brandvoice. Nel 2013 anche The New York Times ha iniziato a ricorrere a forme di native adv con articoli sponsorizzai da Dell.

Nel 2013 inoltre viene pubblicato dallo IAB (Internet Advertising Bureau) un documento ufficiale, il primo, proprio sul Native Advertising. Il documento si chiama Native Advertising Playbook, e fa una clusterizzazione in sei categorie degli annunci più diffusi, che ti spiegherò più avanti.
Nel 2015 è stata presentata la versione italiana di questo documento.

 

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Confronti con altre forme di pubblicità

Native Advertising e le forme tradizionali
Per farti avere un quadro chiaro sul Native Advertising e non confonderti le idee, ecco una comparazione con il content marketing e con altre forme di pubblicità.

 

 

 

Il Native Advertising e il Content Marketing

Stando a quanto ti ho detto finora, può venirti il dubbio che si possa creare un po’ di confusione con il content marketing; in realtà non è così. Il content marketing ha come finalità l’informazione piuttosto che svolgere un ruolo promozionale. Internet in generale, e i social media in particolare, hanno modificato in maniera sostanziale il rapporto tra consumatori e brand, i quali ritengono che la strategia di interruption marketing non sia più efficace, a tutto vantaggio del native adv con il suo scopo promozionale.

 

Il Native Advertising e la pubblicità tradizionale

Cosa c’è dietro la pubblicità nativa? Il flusso del pensiero del consumatore. Una pubblicità contestuale come quella nativa non interrompe l’attenzione ma crea interesse e coinvolgimento superiori a quella tradizionale. In un periodo in cui siamo tutti davvero bombardati da messaggi di advertising online, è decisamente opportuno evitare di comunicare con banner ed altre forme di adv invadenti, che ormai non producono più risultati concreti in efficacia comunicativa e persuasione.
Se la pubblicità tradizionale ha l’obiettivo di distrarre il lettore dal contenuto di suo interesse per comunicare il messaggio, il Native Advertising invece immerge la pubblicità nel contesto.

 

Il Native Advertising e il pubbliredazionale

Se stai leggendo il testo di una pagina web vuol dire che l’argomento ti interessa. Sarà molto probabile che sarai interessato anche alla pubblicità se ne è parte integrante. La fusione tra contenuto e messaggi pubblicitari nello stesso contesto editoriale si distingue dal pubbliredazionale proprio perché l’inserzionista viene esplicitato. L’organicità con cui il contenuto del Native Advertising si inserisce nella naturalità della navigazione dell’utente fa sì che la distinzione tra il puro contenuto editoriale e il contenuto editoriale sponsorizzato sia davvero sottile, nonostante sia necessario contrassegnare il contenuto pubblicitario come sponsorizzato.

 

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Perché utilizzare il Native Advertising

Da quanto hai letto finora sembra chiaro che si tratta non più di una novità interessante nel panorama dell’advertising online, ma di una realtà che si consolida sempre di più e che diventerà sempre più diffusa proprio per la sua caratteristica di integrarsi perfettamente con il contesto in cui è inserita.
Chi progetta e realizza campagne di native adv, ha come scopo non solo quello di attrarre l’attenzione dell’utente, ma di creare un vero engagement. Questo è il motivo per cui non è interruttiva ed è quindi un buono strumento di marketing online che i Digital Marketing Manager devono aver presente quando elaborano le strategie di marketing.

 

Dal punto di vista dei marketer

Il Native Advertising consente di aggirare l’ostacolo del banner blindness, perché il contenuto del messaggio sponsorizzato è immerso in quello editoriale; questo fa aumentare la reach del messaggio. Oggi infatti sono molti i brand che spostano gli investimenti dagli annunci PPC (Pay Per Click) alla promozione all’interno di contenuti di valore perché è lì che l’attenzione degli utenti è più alta e si può generare un buon livello di engagement.
Se in un sito sono presenti molti contenuti di qualità e gratuiti, è una buona cosa inserire periodicamente dei contenuti a pagamento di un inserzionista. Così facendo, non si perde la fiducia dei lettori e in più si mantengono gli indici di redditività economici che servono per portare avanti il progetto editoriale.

 

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Il native adv funziona, lo dimostrano i numeri:

  • gli annunci nativi vengono visti il 53% in più degli annunci visualizzati
  • l’intento di acquisto cresce del 18% grazie a questa tipologia di annunci

La continua esposizione alle forme di adv online crea noia nel pubblico, infatti tutti possiamo dire che non ci prestiamo più attenzione. Gli annunci di pubblicità nativa invece non hanno questo effetto, sono l’esposizione del brand sotto forma di contenuto editoriale proprio per non affaticare il pubblico. 
I consumatori sono consapevoli che stanno guardando un annuncio nativo, lo ha studiato anche la Standford University, mettendo in risalto come questi annunci abbiano un effetto importante sul comportamento di acquisto.

C’è anche uno studio di Forbes che dimostra che più della metà dei grandi brand fanno ricorso a video personalizzati per fare marketing e si dicono molto favorevoli ad utilizzare il Native Advertising. Il motivo è semplice, distribuire contenuti di valore che sono visivamente armonizzati nel sito che li ospita e che creano per l’utente una esperienza omogenea.

 

Native Advertising e dispositivi

 

Vantaggi della pubblicità nativa

Uno studio fatto da Yahoo ed Enders Analysis, denominato Native Advertising in Europe to 2020, mette chiaramente in luce quanto sarà predominate nei prossimi anni il Native Advertising.

Se sei un marketer non penso ti servano molti altri argomenti per capire che la pubblicità nativa è una forma di advertising tutta da esplorare e provare.

Oltre alle stime di crescita, da questo studio emergono anche delle considerazioni importanti.
L’utilizzo del native adv ha degli aspetti positivi sia per gli editori che per gli addetti ai lavori della pubblicità. Per gli editori un fattore importante riguarda la creazione di formati esclusivi che gli consentono di differenziare quelle che sono le offerte tradizionali di banner e annunci. Per i professionisti delle agenzie invece è un modo che consente di migliorare sia le performance che l’efficienza delle campagne tradizionali di pubblicità digitale.

Un altro aspetto che sempre questo studio mette in evidenza è questo: il Native Advertising può, in maniera potenziale, ridurre l’efficacia dell’ad-blocking. La pubblicità nativa si mostra come un contenuto che ben si integra nel contesto editoriale che la ospita e, proprio per questo motivo, i software che eseguono l’ad-blocking fanno difficoltà a rilevare questa forma di pubblicità digitale. 
Diventa una concreta occasione per ideare nuovi standard da usare per un formato pubblicitario che si basa sulle preferenze degli utenti. Infatti in questo modo chi visualizza avrà meno motivi per decidere di bloccare gli annunci.

Gli utenti mobili stanno influenzando rapidamente la fruizione dei contenuti e questo rappresenta una grande opportunità per chi fa adv. Il native è un format estremamente efficace sui piccoli schermi e crea un’esperienza più capace di generare interazione e più contestuale. È una soluzione scalabile per gli editori e un’opportunità creativa e misurabile peri professionisti dell’adv, che offre una soluzione ottimale da entrambe le parti.

Queste sono le parole di Nick Hugh, VP Emea di Yahoo quando è stata fatta le ricerca. Per Enders Analysis invece, Joseph Evans, digital media analyst, diceva:

Il native advertising sembra essere una di quelle rare situazioni win win per il mercato: più efficacia per i professionisti dell’adv, più valore per gli editori e maggiore rendimento da parte degli utenti. Essendo perfetto per i contesti mobile, social e video mobile, significa che la crescita nel native contribuirà a spingere gli investimenti nella pubblicità digitale display.

 

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Come realizzare una campagna di Native Advertising

Adesso che sai cos’è la pubblicità nativa e ne hai capito utilità e potenzialità, ti dico come fare in concreto un native adv che sia efficace:

  • Imposta una campagna che sia omnichannel, ossia multicanale, perché così potrai utilizzare tutti i canali sui vari dispositivi possibili: pc, mobile, tablet. 
    Puoi farlo proprio perché la natura del Native Advertising ti dà la possibilità di raggiungere tutti i consumatori che sono nel tuo target e potrai controllare se la pubblicità è efficace rispetto al budget che hai stanziato.
  • Individua il formato che funziona meglio
    Ne esistono diversi, si va da quello sponsorizzato a quello in-feed o social. Ogni formato ha le sue caratteristiche e porta benefici diversi. Per essere sicuro di fare la scelta giusta, devi capire qual è quella che fa al caso tuo in base al messaggio che vuoi trasmettere e in base a qual è l’audience a cui ti rivolgi.
  • Assicurati che lo stile comunicativo del tuo advertising sia davvero coerente con il contesto che lo ospiterà.
    Se è Native Advertising il tono e lo stile, compreso quello visivo, devono essere in armonia con la pagina web in cui viene inserita perché deve essere coerente e non deve apparire come una comunicazione tradizionale che distrae.
  • Stabilisci degli obiettivi realistici, raggiungibili e coerenti.
    Ciascun formato di native adv ha caratteristiche diverse che porta benefici diversi. Ecco perché devi fare attenzione alle metriche che scegli e che ti serviranno per misurare l‘efficacia della tua pubblicità rispetto agli obiettivi che hai fissato all’inizio.
  • Esegui misurazioni e ottimizzazioni.
    Fai attenzione nel valutare bene in che modo proporre il tuo Native Advertising al consumatore. Cerca di usare l’approccio che è più vicino agli obiettivi, al mezzo che hai deciso di usare e non ultimo al tuo target. Non è l’utilizzo in sé che è vincente, ma lo sarà se misurerai e studierai le diverse variabili per ottimizzare la tua campagna.

 

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Native Adv, come riconoscerlo?

Puoi trovare la pubblicità nativa non solo inserita in pagine web come contenuto consigliato, ma anche nei social media, inserita nel tuo feed. Per la sua caratteristica di mimetizzarsi ed armonizzarsi al contesto editoriale in cui è inserita, non è dirompente e non disturba la navigazione e la fruizione dei contenuti.
Come fare per capire che si tratti di una forma di pubblicità? Se un annuncio native ha tutto l’aspetto di un contenuto normale tu che leggi potresti non accorgerti che sei di fronte ed un annuncio a pagamento. Questa cosa va anche a scapito dell’editore, che deve essere super partes.
Chi vigila sul Native Advertising, come lo IAB e la FTC (Federal Trade Commission), a tutela dei consumatori, regolamenta l’utilizzo di questa forma di pubblicità proprio perché non ci siano inganni
Quindi la pubblicità nativa si integra alla perfezione nella pagina web ma puoi riconoscere che è advertising perché:

  • Trovi le parole “sponsorizzato” oppure “raccomandato per te” o ancora “post suggerito
  • In alto a destra è inserita un’icona piccola; se la clicchi ti indica che si tratta di un annuncio
  • Trovi video suggeriti oppure raccomandati

 

Le linee guida dello IAB

Lo IAB (Interactive Advertising Bureau) è la maggiore associazione in materia di pubblicità digitale. IAB Italia opera a livello nazionale e nel 2015 ha presentato il “Native Advertising The Art of Making” che regolamenta il native adv ed è il corrispettivo italiano del Native Advertising Playbook, pubblicato negli USA nel 2013.
Entrambi i lavori nascono per rispondere ad una semplice domanda: cos’è Native Advertising e cosa no?

 

Obiettivi e forme: 6 domande da farsi

Sei un’azienda e vuoi fare Native Advertising? Per capire quali sono gli obiettivi e le forme giuste per questo tipo di pubblicità, parti da queste sei domande:

  • La pubblicità è in linea con il design della pagina in cui è inserita, cioè segue il flusso di navigazione dell’utente?
  • La pubblicità segue il funzionamento degli altri elementi della pagina, ossia consente lo stesso tipo di esperienza nella fruizione del contenuto?
  • La pubblicità si adegua ai contenuti che ha intorno, cioè il contenuto è collegato allo stesso sito oppure rinvia ad un altro sito?
  • La pubblicità è posizionata in una pagina specifica o è inserita in un network di siti? Quale targettizzazione puoi fare?
  • Con quali metriche puoi misurare i risultati della pubblicità? Si farà ricorso a metriche utili nelle prime fasi della customer journey (tempo di permanenza nella pagina, visualizzazioni) o quelle che si usano successivamente (download, registrazione, compilazione form per essere contattati)?
  • L’etichetta che indica che il contenuto è una pubblicità, anche detta disclosure, è ben in evidenza?

Lo schema qui sotto nasce dalle 6 domande appena elencate; agli estremi ci sono le risposte alle domande. Se le tue risposte si posizionano più a sinistra, allora stai facendo Native Advertising.

 

Native Advertising risposte alle 6 domande

 

 

I sei formati del Native Advertising

Ancora in base alle risposte alle 6 domande, lo IAB ha identificato sei formati di pubblicità nativa. Eccoli:

  1. In-feed: tra tutti sono quelli che hanno più varietà. Infatti si va dagli articoli sponsorizzati presenti nei siti web fino al social adv. Gli articoli sponsorizzati però sono la forma più stretta di native adv perché si inseriscono in maniera armoniosa e naturale tra i contenuti dell’editore. Anzi, capita spesso che sia la redazione stessa dell’editore a produrre questi contenuti. Perché? In questo modo lo stile della pubblicità sarà simile agli articoli che la circondano e verranno venduti con un posizionamento certo. In questo modo l’azienda sa esattamente che contenuti si trova intorno e si possono fare misurazioni con delle metriche legate all’engagement.
  2. Annunci sponsorizzati sulle pagine dei motori di ricerca: questi sono gli annunci che compaiono tra i primi risultati della serp della pagina che il motore di ricerca ti mostra dopo che hai digitato l’argomento di tuo interesse. Sono native perché la loro visualizzazione è in armonia con i risultati organici che ti rende il motore di ricerca, infatti hanno lo stesso aspetto. Come è giusto che sia, riconosci che è Native Advertising per l’etichetta presente: un riquadro con al suo interno scritto “Ann.”
  3. Recommendation widgets: si tratta di link pubblicitari che in genere si trovano in fondo ad un articolo pubblicato in un sito. Servono per consigliare ulteriori contenuti simili o correlati a quello che hai letto. Anche se questo link rimanda ad un sito esterno, è native per il modo in cui lo trovi in maniera fluida nel flusso di navigazione. Bisogna riconoscere che questo formato tra tutti è quello che più somiglia al display advertising, da cui si differenzia per la minore invasività e per gli obiettivi. Questo formato infatti ha come obiettivo il coinvolgimento di chi legge, a livello di metrica invece si basa sulle visualizzazioni.
  4. Liste sponsorizzate: si tratta di vere e proprie liste di prodotti di aziende inserite in siti che non hanno un contenuto editoriale e hanno un collegamento con una landing page dell’azienda. Sono strutturate per integrarsi alla user experience del sito.
  5. In-ad: è una sorta di contenitore pubblicitario, che è inserito fuori dai contenuti editoriali, ma che ha dei contenuti rilevanti rispetto al contesto.
  6. Custom: qui rientra tutto quello che è native ma non può essere ricompreso nei formati già esposti. Può assumere molte forme, sempre personalizzate e coerenti con il sito che le ospita.

L’elenco rappresenta un ordine preciso, dal più native in senso stretto al più blando, quindi secondo lo IAB una pubblicità è nativa se:

  • Ha un formato in linea con il design della pagina e viene percepita come non interruttiva
  • È inserita in un contesto che la mimetizza ed è coerente con gli altri elementi presenti
  • Ha intorno contenuti simili e agevola la user experience
  • È interna ad una pagina o ad un sito ed è coerente con il target dell’inserzionista
  • È misurabile con metriche di brand engagement nelle prime fasi della customer journey

 

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La pubblicità nativa nei dispositivi mobile

native advertising nel mobile

Come puoi vedere da questa grafica dello IAB, anche nei dispositivi mobile il Native Advertising segue gli stessi principi per cui c’è armonia con quello che visualizzi. Si tratta di annunci di formato In-feed, la forma più pura, che in questo caso si declinano in:

  • In-feed di contenuti, che possono essere sia a pagamento che gratuiti. Li trovi sotto forma di testo, giochi o video immersi nel contenuto

  • In-feed commerce, che sono elenchi di prodotti che trovi all’interno dei feed di prodotti negli e-commerce

  • In-feed social, che sono contenuti e messaggi sponsorizzati nel feed dei tuoi social network. Questi sono quelli che di sicuro ti sono più familiari: i promoted post di Facebook, i promoted tweet di Twitter ed i trueview di YouTube.

 

native advertising promoted postnative advertising promoted tweet

native advertising trueview

 

 

 

 

 

 

 

Native Advertising: 6 case history

Sono moltissime le aziende che non si sono lasciate sfuggire l’occasione di fare native adv coniugando il proprio brand con eventi, manifestazioni popolari, personaggi famosi e altro. Potremmo fare decine di esempi per dimostrare quanto appena detto. Per ora ci limitiamo a elencare 6 case history d’eccellenza, ma se vuoi approfondire… scopri i migliori esempi di Native Advertising che abbiamo raccolto per te!

  • Spotify e Stranger Things: la serie tv americana di fantascienza Stranger Things ha avuto un grande seguito e la prima puntata è stata vista da 15.8 milioni di persone negli USA. Spotify, piattaforma di musica in streaming on demand, non si è lasciata sfuggire l’occasione ed ha abbinato gli utenti della sua piattaforma ai personaggi della serie tv in base alle abitudini di ascolto.
  • Gatorade e Serena Williams: occasione unica di gamification. Il gioco consente la possibilità di vincere il match point di ben 22 vittorie principali di Serena Williams, con un click e senza download.
  • Airbnb e Ellis Island: si ripercorre la storia del viaggio e dell’ospitalità grazie alla collaborazione di Airbnb con The New York Times. È una storia istruttiva, che immerge nel passato in modo interattivo e racconta com’era immigrare in America. Puoi navigare attraverso 4 capitoli che hanno al loro interno storie reali e vecchie foto degli ospiti di Airbnb. Emozioni indietro nel tempo.
  • Audi nel giorno Super Bowl: durante un evento di tale portata mediatica, nel 2017, uno spot di 60 secondi non ha mostrato neanche un’auto ma ha difeso l’uguaglianza di retribuzione, ponendo l’accento su una questione sociale. Grande successo tra gli adulti, ma anche tra i più giovani.
  • Goldman Sachs e Marcus: il colosso finanziario ha rinnovato la sua immagine creando una società di prestito online, Marcus. Infografica interattiva e calcolatore di prestito hanno consentito praticità e utilità del servizio finanziario offerto.
  • Lego Mosaic Maker: per cercare di rappresentare tutti i suoi fan, la Lego, nella sede londinese, ha creato una cabina in cui fare foto istantanee ed un distributore di mattoncini lego. In questo modo i visitatori potevano ricreare il loro head shot di mattoncini. Questo ha portato gli utenti a generare moltissimi contenuti.

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8 Commenti

  1. Grazia Di Ciaula

    Articolo davvero illuminante sul native advertising!

  2. Barbara Amasino

    Articolo davvero interessante, il native advertising è un modo di fare pubblicità molto smart. L’utente si trova coinvolto nella conoscenza o nel comprare un prodotto quasi senza rendersene conto e senza essere disturbato.

  3. Ilaria Ottone

    Un articolo interessante per capire come fare pubblicità senza risultare fastidiosi per gli utenti e interrompere la loro navigazione sul web. La trovo una guida utile e molto dettagliata.

  4. Lisa Baiocchi

    Molto interessante questo modo di pubblicizzare in modo meno “aggressivo”. Oltre ad essere meno invadenti, è possibile creare contenuti di qualità in grado di arrivare al lettore senza troppa irruenza.

  5. Ilaria Paolinelli

    Concordo con te Nadia, produrre dei contenuti di qualità è una pratica che non deve mai mancare nelle strategie digital e che fa la differenza.

  6. Nadia Lombardi

    Ogni giorno siamo impeganti a mettere a punto nuove strategie di marketing e poi ci rendimo conto che una delle più efficaci è quella di rendere i nostri ads meno evidenti possibili. Alla fine le persone si fidano di più di chi produce contenuti di qualità e si fa notare per la sua professionalità e autorevolezza piuttosto che investendo in “spot pubblicitari”.

  7. Ilaria Paolinelli

    Grazie Mila!

  8. Mila Orsini

    Bella guida, brava Ilaria :-)

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